I casi di restauro e di risanamento conservativo, di cui all’art. 3, c. 1, lett. c) del DPR 380/2001, sono quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formalie strutturali di essone consentano destinazioni d’uso con essi compatibili.

Poiché il restauro ed il risanamento implicano anche il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione di elementi o estranei, o deteriorati di tal organismo preesistente non consente, come hanno adombrano le Soprintendenze, di confondere la relativa vicenda con quella della ristrutturazione edilizia.

Ed invero, la ristrutturazione edilizia si configura nel rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e nell’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e risanamento, che invece presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (cfr., Cons. Stato, sez. V, 5 settembre 2014 n. 4253; Cons. Stato, sez. V, 17 marzo 2014 n. 1326).

I Giudici di Palazzo Spada hanno, recentemente ribadito tali principi, riconoscendo il restauro ed il risanamento in quell’insieme sistematico di opere anche sulla struttura (compresi il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio) che rispettino gli elementi fondamentali dell’organismo edilizio e ne assicurino le destinazioni d’uso compatibili con questi ultimi.”

Pertanto, la differenza con la ristrutturazione edilizia risiede essenzialmente nella conservazione formale e funzionale dell’organismo edilizio, che connota i primi rispetto alla seconda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 2015, n. 3505).