La Procura contestava ad consigliere comunale il delitto di corruzione per aver contribuito, nella sua qualità di pubblico ufficiale, alla modifica della destinazione d’uso di terreni intestati a società di cui era anche amministratore, a fronte di un ingente corrispettivo. Ad una di tali società veniva anche contestato l’illecito amministrativo dipendente da reato, ex art. 25 d.lgs. n. 231/2001. L’imputato veniva assolto in appello e, di conseguenza, venivano assolte anche le società, ritenendo venuta meno la responsabilità da reato degli enti. Proponeva ricorso per cassazione il Procuratore generale della Corte d’Appello.

La Cassazione accoglieva il ricorso rilevando l’illegittimità dell’automatismo stabilito dalla Corte d’Appello tra assoluzione della persona fisica imputata per il reato presupposto (la corruzione) e l’esclusione della responsabilità dell’ente per la sua commissione.

Precisa la Corte che il d.lgs. n. 231/2001 non ha inteso adottare un criterio di imputazione fondato sulla responsabilità “di rimbalzo” dell’ente rispetto a quella della persona fisica, cosicché la responsabilità amministrativa da reato non coincide con il reato presupposto, ma costituisce qualcosa di diverso, che addirittura lo ricomprende.

(Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza n. 49056/17; depositata il 25 ottobre)