Il settore brassicolo italiano è in continua crescita, incremento che si registra con maggiore intensità nelle eccellenze artigianali del nostro paese.
Da qui la sempre più avvertita necessità di una legislazione ad hoc, che tuteli maggiormente i piccoli produttori e li aiuti ad emergere in un mercato sempre più concorrenziale, dove i grandi produttori la fanno da padrone.
Tale necessità è stata soddisfatta, in parte, lo scorso Luglio con l’approvazione del “collegato agricolo” alla legge di Bilancio per il 2014, il quale introduce nel nostro ordinamento la definizione di birra artigianale partendo dalla definizione di birrificio artigianale.
La birra artigianale viene definita come “la birra prodotta da piccoli birrifici indipendenti e non sottoposta, durante la fase di produzione, a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.”.
Così si legge all’articolo 35, il quale prosegue definendo il piccolo birrificio indipendente, ossia quel birrificio che sia legalmente ed economicamente indipendente da qualsiasi altro birrificio, che si avvalga di impianti fisicamente distinti e che non operi sotto licenza di utilizzo dei diritti di proprietà immateriale altrui.
Ulteriore ed ultimo requisito prescritto è che la produzione annua non superi i 200.000 ettolitri.
Uno dei punti chiave per restare competitivi in questo settore è la territorialità, motivo per il quale il successivo articolo 36 prevede uno sviluppo a favore della coltivazione del luppolo, la c.d. filiera del luppolo, stabilendo che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali “favorisce il miglioramento delle condizioni di produzione, trasformazione e commercializzazione nel settore del luppolo e dei suoi derivati”.

Il DDL S 1328 – B (Collegato agricolo) non esaurisce però la normativa in materia di birra, poiché anche le fasi di produzione, imbottigliamento e vendita della stessa sono regolamentate da numerose leggi e regolamenti europei che contengono prescrizioni ben precise su etichettatura, pulizia dei locali, conservazione delle bottiglie e altro.
La normativa di riferimento per la produzione e l’imbottigliamento della birra è più risalente, si deve arrivare al 1962, ed in particolare alla l. n. 1354, per rintracciare le accortezze che ogni birrificio deve adottare nelle fasi precedenti la commercializzazione dei propri prodotti. Una normativa puntuale, che fa riferimento a tutti gli ambiti di produzione, dai requisiti delle materie prime della birra, alla pulizia dei locali e delle bottiglie, passando per l’analisi di apparecchiature ed impianti.
Altrettanto puntuali sono le prescrizioni sul personale, per le quali la l. n. 1354 del 1962 rimanda ad un’altra legge dello stesso anno, la n. 283, la quale, all’articolo 14, contiene numerose prescrizioni sulla selezione del personale, nonché sulle condizioni di salute degli stessi lavoratori.
La congerie di norme di riferimento non si esaurisce qui, poiché non mancano ulteriori ed ancor più stringenti indicazioni sull’etichettatura, come previste dal D. Lgs. n. 181 del 2003, che ha innovato il precedente D. Lgs. n. 109 del 1992, il quale, con i suoi trenta articoli, fornisce un quadro completo di tutti gli obblighi che il produttore deve rispettare per porre in vendita il prodotto finito. Dalle tabelle caloriche, all’indicazione del grado volumetrico alcolico e non solo, norma contornate da numerose sanzioni per chi non le rispetti.
Sanzioni amministrative e penali che possono incidere negativamente sulla sopravvivenza di birrifici, grandi e piccoli; dettagli che, pur sembrando di poco conto, sono prescritti da numerose direttive europee che vanno rispettate ed applicate pedissequamente.
Il produttore brassicolo, per restare competitivo, ha bisogno di distinguersi e di differenziare il proprio prodotto dal resto delle birre in commercio, per questo motivo crediamo fortemente che porre l’attenzione sulle normative vigenti in materia possa essere quel quid pluris che segni il confine tra un produttore di successo ed uno che resta nell’oblio.

Sono proprio questi motivi che spingono sempre più studi legali ad occuparsi di diritto alimentare soprattutto in Sicilia, dove non mancano grandi e piccole aziende di eccellenza.
La sempre più avvertita sensibilità verso il Bio, i grani antichi e la continua attenzione verso gli ingredienti e la composizione dei prodotti da supermercato, interessano maggiormente lo studioso del diritto, che può diventare perno fondamentale nella produzione e nella vendita dei prodotti brassicoli ed alimentari in generale.
Spesso, soprattutto in questo ambito, la figura dell’avvocato diviene quella del consulente, che riesce a dare una forte spinta propulsiva alle aziende che si affacciano sul mercato, evitando problemi legali dovuti alle molteplici normative di settore, alcune delle quali anche di difficile interpretazione.