Secondo l’articolo 1 della Convenzione di Ginevra è rifugiato “chiunque, nel timore fondato di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione dello Stato.”.

La persecuzione, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, si estrinseca in atti (o nel timore di atti) sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali.

Lo status di rifugiato è concesso a chi abbia il fondato timore di subire atti di persecuzione se facesse ritorno al proprio paese di origine o di abituale dimora. L’aver subito atti di persecuzione, o minacce di tali atti, costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire atti di persecuzione.

L’onere di provare tali atti persecutori ricade sul richiedente asilo, sebbene l’articolo 7 del d.lgs. 251/2007 abbia attenuato l’onere probatorio.

Ai sensi del d.lgs. n. 251/2007 per aversi protezione internazionale deve esservi o “il riconoscimento da parte dello Stato di un cittadino straniero quale rifugiato” o in alternativa, se il soggetto non è stato riconosciuto come rifugiato, a tale cittadino deve essere riconosciuta la protezione sussidiaria, ossia “il riconoscimento da parte dello Stato di uno straniero quale persona ammissibile alla protezione sussidiaria;”.

Per protezione sussidiaria, secondo gli artt. 2 e 14 del d.lgs. n. 251/2007, si intende la protezione accordata ad un cittadino non appartenente all’Unione Europea, od apolide, che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che se tornasse nel paese di origine, o nel paese nel quale aveva la propria dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un danno grave e per questo motivo non può o non vuole avvalersi della protezione di detto paese.

Il soggetto richiedente deve, in ogni caso, a mente dell’art. 14 su indicato, aver subito un danno grave, ossia: la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte, la tortura od altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, oppure la minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

Questo tema è attuale oggi più che mai, soprattutto nel nostro Paese, protagonista dei numerosi flussi migratori di questi anni. Ma in concreto, chi può presentare domanda di protezione internazionale? Cosa deve fare un soggetto in fuga dal proprio Paese per ottenerla?

In Italia possono presentare domanda di protezione internazionale tutti i migranti.

E’ importante chiarire che non vi è libertà di scelta sul paese cui chiedere protezione, ma vi sono dei rigidi criteri che indicano quale sia il paese competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale: innanzitutto è competente il primo stato nel quale il soggetto è entrato irregolarmente, in secondo luogo è competente il paese che abbia rilasciato un titolo di soggiorno od un visto d’ingresso, poi il paese in cui si trova regolarmente un familiare del richiedente, se minorenne e non accompagnato, ed infine il paese in cui si trova un familiare che sia stato già riconosciuto come rifugiato o abbia già presentato domanda di asilo.

Se il richiedente non è in possesso di documenti di riconoscimento deve effettuare la procedura di identificazione, che consiste nella raccolta dei dati personali seguita da fotosegnalamento. In seguito si procederà a compilare il Modello C/3, ossia il modello per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra. Oltre ai dati anagrafici, il soggetto dovrà fornire informazioni sul viaggio dal Paese d’origine e sui motivi per cui ha lasciato il paese stesso. Potrà fornire questo tipo di informazioni anche successivamente, su un foglio da allegare al Modello ed esprimendosi anche nella propria lingua.

Per quanto concerne l’Italia la domanda va fatta alla Polizia del centro di prima accoglienza in cui si trovi il richiedente o in alternativa alla polizia di frontiera, al momento dell’arrivo in Italia o all’ufficio immigrazione di polizia della questura, se il richiedente si trova già in Italia. La polizia invierà tutta la documentazione ad un ufficio apposito presso il Ministero dell’Interno a Roma (c.d. Ufficio Dublino). Mentre è in corso la procedura per stabilire se l’Italia è il paese competente a decidere sulla richiesta di asilo, la condizione del soggetto è di richiedente asilo e pertanto sarà sotto la protezione italiana.

Una volta inoltrata la domanda agli uffici competenti, la decisione sulla domanda di protezione internazionale spetta alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale, che entro trenta giorni dalla presentazione della domanda convocherà il richiedente per un colloquio, nel quale si prevede la possibilità di essere assistiti da un avvocato e da un’interprete, qualora il richiedente asilo abbia difficoltà ad esprimersi od a comprendere la lingua italiana.

Nei giorni immediatamente successivi alla domanda la Questura dovrebbe rilasciare entro 30 giorni un attestato nominativo, in attesa del permesso di soggiorno per richiesta asilo. Il rilascio del permesso per richiesta asilo avviene qualora la Questura, dopo avere effettuato i dovuti accertamenti, abbia verificato che l’Italia è il paese competente ad esaminare la domanda di protezione internazionale e che non sussistono gli estremi per un trattenimento nei CIE o per l’accoglienza nei CARA. Il Prefetto stabilisce un luogo di residenza o un’area geografica dove i richiedenti possono muoversi.

L’ottenimento dello status di rifugiato dà diritto ad un permesso di soggiorno quinquennale rinnovabile senza ulteriore verifica delle condizioni; se si accede, invece, alla protezione sussidiaria il permesso di soggiorno avrà durata di tre anni rinnovabile previa verifica delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento di tale protezione.

Se lo straniero è già stato riconosciuto rifugiato in un altro paese firmatario della convenzione di Ginevra o ha reiterato la medesima domanda dopo aver ottenuto un diniego, la domanda sarà dichiarata inammissibile dalla Commissione territoriale competente ma deve comunque essere ricevuta dalla Questura. La domanda può essere, inoltre, rigettata per manifesta infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal decreto sulle qualifiche, o quando risulta che la domanda e’ stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.